
“Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un breve viaggio di tre passi sul palato per andare a bussare, al terzo, contro i denti. Lo-li-ta. Era Lo, null’altro che Lo, al mattino, diritta nella sua statura di un metro e cinquantotto, con un calzino soltanto. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea punteggiata dei documenti. Ma nelle mie braccia fu sempre Lolita.”
Vladimir Nabokov
Uno degli incipit più iconici della letteratura, un libro che divide e che non lascia indifferenti.
Il romanzo si apre con Humbert, un professore alla soglia dei quarant’anni con un matrimonio fallito alle spalle, che ci racconta in prima persona l’inizio dell’ossessione per Lolita , una dodicenne che vive con la madre nel New England.
Il momento in cui vede per la prima volta Lolita è entrato nell’immaginario collettivo di tutti noi, anche grazie al film di Kubrick, la ragazza sta prendendo il sole nel giardino di casa, indossando degli occhiali da sole a forma di cuore e leccando un lecca-lecca.
Qui Humbert ci rivela la sua essenza, si denuda al lettore e ci fa entrare nella sua mente deviata.
Rivive attraverso Lolita l’amore infantile provato in tenera età, amore mai vissuto nella sua completezza.
Lolita gli provoca delle emozioni che lo faranno arrivare al punto di sposare la madre pur di restarle vicino.
La storia si fa largo attraverso l’America del tempo, attraverso la vita quotidiana di una ragazzina di dodici anni.
Vediamo Humbert che cerca di eliminare ogni contatto umano nella vita di Lolita, cerca di diventare il suo unico punto di riferimento.
Nabokov non è mai volgare o scontato, la sua scrittura riesce quasi a farci empatizzare con il protagonista, riesce a farci leggere determinati atteggiamenti di Lolita come provocatori.
É palese invece che il tutto sia all’interno della testa di Humbert, che Lolita sia unicamente la vittima.
Humbert sembra quasi prendersi gioco del lettore, descrive le sensazioni che prova verso Lolita come se fossero naturali, come se fosse stata la società ad imporre con ipocrisia la convinzione che il suo comportamento fosse immorale, disdicevole, sbagliato.

Il libro non è mai pesante, è impressionante la maestria con cui Nabokov riesce a parlare dell’argomento, così come è impressionante il lessico che usa (ricordiamoci che Nabokov scrisse il romanzo in Inglese dopo pochi anni dal suo trasferimento in America e che solo successivamente lo tradusse in russo).
È un libro dove spesso si fa confusione tra amore e malattia ma è un romanzo che sicuramente va letto, un romanzo con cui ci si deve confrontare.
Consiglio inoltre di leggere “L’Incantatore” che può essere considerato il “prequel” di Lolita, lo stesso Nabokov dopo averlo ritrovato lo definì come “il primo, piccolo palpito di Lolita”, un racconto più che un romanzo scritto questa volta in russo molti anni prima. E’ interessante vedere come Nabokov caratterizzi in modo diverso i due protagonisti e le due ragazze, in due racconti che parlano della stessa tematica: l’ossessione.
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